150 anni d’immigrazione italiana in Svizzera - Sesta parte
Il «problema degli italiani»
Gli immigrati italiani in Svizzera del XIX-inizio XX secolo erano richiesti e apprezzati dai datori di lavoro, ma ritenuti pericolosi concorrenti dai lavoratori svizzeri. L’accusa? Accettavano salari più bassi mettendo a rischio molte famiglie svizzere che avevano bisogno di salari più alti. La difesa: non è vero! Fatto sta che dalla paura all’odio il passo fu breve a Berna nel 1893, ma lo sarà ancora di più a Zurigo tre anni più tardi. Nel frattempo la politica federale si era schierata decisamente dalla parte dei padroni, non dei salariati. Nel 1894 fu infatti respinta dal Parlamento e dal Popolo una iniziativa volta a garantire il lavoro per tutti.
La situazione sul finire dell’800
Nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, gli ultimi decenni dell’Ottocento sono stati molto difficili, certamente più difficili di quanto siano stati per i tedeschi, gli austriaci e i francesi. Di quei decenni l’opinione pubblica conosce, spesso vagamente, i due più clamorosi episodi di violenza subiti da italiani a Berna (1893) e a Zurigo (1896), ma non le cause e le circostanze.
Eppure il periodo fino allo scoppio della prima guerra mondiale è stato per molti versi fondamentale. Basti solo ricordare, giusto per fare qualche esempio, che il discorso sulle naturalizzazioni facilitate, agevolate o automatiche, di cui si è molto parlato anche recentemente, venne avviato all’inizio del secolo scorso. Anche i temi della «paura degli stranieri» (xenofobia) e della «paura dell’inforestierimento» (Überfremdung), che hanno caratterizzato la politica migratoria cantonale e federale di buona parte del secolo scorso, cominciarono ad entrare nel dibattito politico ma anche nella discussione dell’opinione pubblica nello stesso periodo.
Ritengo pertanto utile soffermarsi sia pur brevemente su quel finale di secolo e inizio di quello successivo per cercare di capire, a prescindere dall’irrazionalità della paura e della violenza, perché gli italiani furono oggetto degli atti più clamorosi di violenza collettiva di tutta la storia moderna dell’immigrazione in Svizzera. Perché gli italiani e non, per esempio, i tedeschi (112.342 nel 1888) ben più numerosi e soprattutto più influenti degli italiani (41.881)?
Perché proprio gli italiani?
Una prima risposta è che nella Svizzera tedesca i tedeschi e gli austriaci erano per così dire «di casa» già da molto tempo ed erano non solo accettati dall’elemento indigeno, ma rispettati e persino ammirati, perché occupavano posizioni di rilievo nell’economia, nel commercio, nell’insegnamento, nella vita civile in generale. Non che i tedeschi fossero particolarmente ben voluti, anzi, come si vedrà in seguito; ma per lo meno avevano saputo integrarsi, a modo loro, e rispettavano le regole e i costumi svizzeri.
Gli italiani, invece, erano gli ultimi arrivati e i meno integrati. Lo si può vedere anche dal numero di naturalizzazioni: tra il 1897 e il 1902, la quota di rifiuto di domande di naturalizzazione fu del 30% per i tedeschi, ma di circa il 50% per gli italiani. In cifre assolute, per il periodo 1889 e il 1908, il numero di naturalizzazioni di italiani nel Cantone di Zurigo è assolutamente esiguo (138) rispetto a quello dei tedeschi (7912).
Pur essendo ritenuti indispensabili all’economia (per le infrastrutture, l’edilizia e alcune fabbricazioni industriali), non godevano di alcun prestigio, erano lontanissimi dalla cultura e dalla mentalità degli svizzeri, non manifestavano alcuna propensione all’integrazione, erano (considerati) veramente «stranieri», nel senso di «estranei» o «diversi» e anche per questo non avevano alcun potere politico, economico, contrattuale, sindacale o culturale. Erano forza lavoro… a buon mercato e basta. La maggior parte rientrava dopo una stagione o dopo qualche anno, pochi decidevano di restare.
Forse, proprio per questo gli italiani finirono per essere considerati più «pericolosi» dei tedeschi, dei francesi, degli austriaci. Prima ancora che si discutesse a vari livelli del «problema degli stranieri» (Ausländerfrage) già si parlava apertamente (dal 1893) del «problema degli italiani» (Italienerfrage). Ma perché proprio loro costituivano nell’opinione pubblica un «problema»?
«Il problema degli italiani»…
Prima di rispondere a questa difficile domanda mi sembra utile ricordare che quando si comincerà (dal 1900) a parlare del «problema degli stranieri» la discussione si collocherà subito ad un livello specialistico perché verteva soprattutto sull’impatto degli stranieri sull’economia, sulla cultura, sulla politica. Tanto è vero che nella discussione saranno coinvolti, almeno inizialmente, soprattutto i tedeschi. A discuterne saranno specialmente uomini politici, intellettuali, economisti, amministratori pubblici.
Il «problema degli italiani», invece, aveva una connotazione eminentemente pratica e immediata, legata alla presenza crescente e ingombrante degli italiani e ai loro comportamenti contrastanti con quelli della popolazione locale e ritenuti talvolta contrari alle buone tradizioni locali e persino pericolosi.
Esso nasceva da una serie di costatazioni. Anzitutto era impossibile non vedere il continuo e sempre più consistente arrivo di italiani. Basti qualche numero per dare un’idea del fenomeno, per molti, soprattutto nelle grandi città, sconvolgente. A livello nazionale gli arrivi dall’Italia erano passati da 4346 nel 1885 a 13195 nel 1890, a 18.311 nel 1895, a 45.785 nel 1900, addirittura a 88.777 nel 1910 e a 90.019 nel 1912. Si parlava ormai apertamente di «invasione» degli italiani, anche se erano perlopiù stagionali.
Lavoravano in maggioranza alle dipendenze di alcune imprese edili, meccaniche e tessili che li occupavano talvolta persino preferendoli agli indigeni. I motivi di tale preferenza erano sicuramente molteplici: gli italiani erano più disponibili ad accettare anche salari più bassi (rifiutarli sarebbe significato restare senza lavoro) e più produttivi, ma anche meno disponibili a scendere in piazza contro i padroni. Gli italiani, infatti, anche per forme esagerate di risparmio, aderivano raramente ai sindacati locali. Già questo contribuiva a metterli in cattiva luce presso i compagni di lavoro svizzeri.
… e degli svizzeri
E’ anche probabile che molti operai svizzeri non si sentissero garantiti dal «sistema» politico vigente a predominio liberale, soprattutto dopo la schiacciante sconfitta in votazione popolare (80% di no!), nel 1894, di una iniziativa lanciata dai socialisti che mirava a garantire il «diritto al lavoro» sufficientemente retribuito a tutti i cittadini svizzeri (ma soprattutto agli operai). Si disse, durante la discussione in Parlamento, che l’accettazione dell’iniziativa avrebbe sconvolto l’ordine costituito e introdotto la lotta di classe fino alla presa del potere da parte della sinistra.
A questo punto verrebbe quasi da rispondere alla precedente domanda affermando che almeno una parte del «problema degli italiani» era un problema della classe operaia svizzera che non disponeva ancora di forze politiche e sindacali sufficienti per far valere i propri diritti. Sarebbero passati infatti molti anni prima che la Svizzera si dotasse di un sistema assicurativo in parte già prefigurato nell’iniziativa popolare respinta nel 1894.
Gli italiani, per evitare il completo isolamento, non avendo in generale alcuna conoscenza della lingua del posto, vivevano preferibilmente tra loro concentrati in alcuni quartieri. E’ facile immaginare i problemi di convivenza che si venivano a creare con la popolazione locale, che considerava gli italiani trogloditi, arroganti, sporchi, immorali, rabbiosi, violenti, sempre pronti a usare il coltello, ecc.
Anche in questo caso, tuttavia, il «problema degli italiani» sembra essere pure un problema degli svizzeri, del tutto impreparati a gestire una convivenza indubbiamente difficile, ma non impossibile. E’ anche comprensibile che in quella situazione i problemi si amplificassero facilmente perché vi trovava un terreno fertile ogni sorta di pregiudizio, da una parte e dall’altra. L’equilibrio era estremamente precario, perché l’incomunicabilità era la regola, il dialogo l’eccezione, l’intesa quasi impossibile. Spesso un semplice diverbio si trasformava in violenza verbale, talvolta anche fisica e in un caso tumultuosa.
I tumulti anti-italiani di Zurigo
Era il 26 luglio 1896. In un locale era appena scoppiata una rissa e un immigrato italiano aveva ucciso a coltellate un alsaziano che l’aveva insultato. Fu la classica goccia, sia pure assai pesante, che fece traboccare il vaso. La folla richiamata dal fatto di sangue compiuto da un italiano si trasformò in una banda (sobillata anche da tedeschi) a caccia degli italiani datisi alla fuga. Molti italiani furono comunque raggiunti e picchiati. Numerosi bar, ristoranti negozi e case di italiani furono messi a soqquadro. Solo dopo diversi giorni la polizia e l’esercito ripristinarono l’ordine e la calma.
Perplessi, molti studiosi si chiedono ancora oggi quali siano state le «vere» cause che fecero scatenare tanta violenza, ma forse le «vere» risposte non si avranno mai. Le violenze registrate a Berna (Käfigturmkrawall), a Zurigo (Italiener-Krawall) e in numerosi altri posti della Svizzera avevano tutte un alcunché d’irrazionale e di sproporzionato.
In assenza di conferme mi pare condivisibile il giudizio conclusivo del Dizionario storico della Svizzera: «La sommossa fu una protesta spontanea delle classi popolari, priva di rivendicazioni concrete, e può essere considerata l'espressione di una crisi legata alla modernizzazione. Gli immigrati italiani, perlopiù lavoratori stagionali impiegati nell'edilizia, divennero il capro espiatorio del profondo disagio causato dai rivolgimenti economici e sociali dell'epoca».
Giovanni Longu