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A DOMODOSSOLA PROPOSTO IL COPRIFUOCO PER REGOLAMENTARE LA VITA DEI MIGRANTI – DI MICHELE SCHIAVONE

Emigrazione ed immigrazioni sono la faccia della stessa medaglia, a distinguere i due termini sono l’angolo di osservazione e il punto di forza con i quali ci si confronta con questioni talmente delicate, che interrogano le coscienze e intrecciano i diritti della persona. Al di sopra di questi aspetti si erge il diritto internazionale.


L’Italia da tempo è confrontata con questo fenomeno e mostra un grande affanno a gestirlo. Non solo l’estremo Sud insulare di Lampedusa e le regioni meridionali coinvolte quotidianamente con gli sbarchi di clandestini e i richiedenti d’asilo che affollano il Mediterraneo, ma anche i punti più a Nord del nostro paese sono paradossalmente coinvolti dallo stesso destino. In giro per l’Europa c’è insofferenza verso questo fenomeno, che spesso sfocia in intolleranza e forme di razzismo alimentati dalle paure e dalle fobie. In sostanza il migrante fugge dal pericolo e dalla miseria in cerca di sicurezza, ma in questi ultimi anni viene percepito come incomodo e usurpatore di diritti, quindi oggetto di discussione nel dibattito politico. Negli ultimi anni questo fenomeno è diventato ingestibile perché a causa di guerre e carestie i migranti sono aumentati spropositatamente e molti dei paesi di approdo non sono pronti a ospitare quest’onda umana. Alla luce dei fatti ai quali assistiamo, si può affermare, che questo è il caso anche del nostro paese.

In Italia, tuttavia, alle due estremità della Penisola le modalità per affrontare e risolvere la questione migratoria sono contrastanti, spesso dettate da pathos e da improvvisazione per l’incongruenza della legge sull’immigrazione, che disattende l’accoglienza e l’integrazione e che, invece, avrebbe urgente bisogno di una profonda rivisitazione, perché pensata in un periodo storico agli albori delle grandi migrazioni.

Questa inadempienza o insostenibilità applicativa crea confusione, alimenta frustrazioni e si traduce in soluzioni discutibili e opinabili. Quanto sta succedendo a Domodossola, città al confine con la Svizzera, a pochi chilometri da Briga, avamposto in cui durante il lungo cammino della speranza del secolo scorso, i nostri emigranti alla ricerca di lavoro si sottoponevano alle visite mediche, alla selezione forzata, per poter entrare nella Confederazione elvetica, è molto discutibile. Il sindaco di questa città vuole imporre il coprifuoco ai migranti ospitati nei centri d’accoglienza della città.

A suo dire, per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza, questi migranti dovrebbero rientrare nel centro alle ore 20.00, ovvero, tenerli sotto osservazione preventiva.
La recente storia dei milioni di italiani che hanno attraversato quei luoghi ci ricorda le angherie subite, ci rimanda alla mente l’uso arbitrario della forza e l’insofferenza agli eccessi di zelo legislativo locale. Chi, come i nostri padri, hanno vissuto quelle umiliazioni, può ricordarci quanto dura è la vita di chi chiede ospitalità e sostentamento. Quelle zone di confine ancora oggi sono luogo di controversie tra italiani e svizzeri. Sul versante svizzero quando parlano di noi usano concetti taglienti, i lavoratori frontalieri lombardi vengono percepiti come usurpatori di lavoro e quindi diventa facile far passare provvedimenti legislativi e referendum quali; “prima i nostri” e le ordinanze protezioniste, di chi la sera chiude i valichi per paura degli italiani e reclama le quote d’ingresso dei frontalieri lombardi. Dov’è la differenza tra questi due modi d’agire? È difficile riconoscerla, ma quel che è certo che in entrambi i casi vengono lesi i diritti umani, quando invece le soluzioni per un’accoglienza solidale sarebbero a portata di mano se solo si promuovessero politiche di inclusione e di prevenzione. Basta volerlo invece di agire in funzione del consenso politico.

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