CITTADINANZA ITALIANA/ LO IUS SOLI: GIÀ ESISTE! – DI DINO NARDI
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Considerato che il Senato italiano, non essendoci una prevedibile maggioranza, ha deciso di rinviare a tempi migliori (sic!) la discussione sul disegno di legge sullo “Ius soli” ritengo opportuno porre all’attenzione dei senatori, in particolare, e, più in generale, al mondo politico italiano con, in primis, gli stessi parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero, le preoccupazioni espresse dall’Ambasciatore Cristina Ravaglia in una sua lettera pubblicata lo scorso 7 agosto dal Corriere della Sera. Una lettera che stranamente – forse complice il periodo estivo – è stata ignorata non tanto dai lettori del quotidiano quanto, soprattutto, da parte degli addetti ai lavori. E tra questi anche dai rappresentanti, a vario titolo, delle comunità italiane all’estero (Associazionismo, Comites, Cgie, parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero).
La lettera dell’Ambasciatore Ravaglia.
LA CITTADINANZA: IUS SOLI E IUS SANGUINIS
Sino a quattro mesi fa sono stata Direttore generale per gli italiani all’estero e le Politiche migratorie del Ministero degli Esteri, incarico in cui, per più di quattro anni, ho avuto la responsabilità di gestire i servizi consolari italiani all’estero.
Da cittadina, ritengo doveroso un ampliamento dello ius soli per i giovani figli di stranieri nati e cresciuti in Italia e che della cittadinanza italiana abbiano fatto proprie, con la conoscenza della lingua e l’integrazione nella nostra cultura e società, le componenti centrali. Non mi dilungo sui modi attraverso i quali lo ius soli verrebbe applicato: è compito del legislatore.
Il punto che mi preme evidenziare è il rapporto tra l’ampliamento delle norme per acquisire la cittadinanza iure soli e il principio dello ius sanguinis alla base delle norme attuali in materia di cittadinanza, ovvero il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza da un antenato italiano: per la legge attuale si può risalire fino all’Unità d’Italia.
Nella maggior parte dei casi sono i Consolati all’estero, soprattutto in Sud America, che acquisiscono e verificano i documenti: nella stragrande maggioranza dei casi viene riconosciuto cittadino italiano chi, totalmente straniero per lingua e cultura, di italiano ha solo una remota goccia di sangue e forse un cognome, ma troppo spesso aspira unicamente a un passaporto italiano solo per gli evidenti vantaggi di libertà di circolazione e stabilimento in tutti i Paesi UE. Sia i miei predecessori che io stessa non abbiamo mancato negli anni di evidenziare queste implicazioni, purtroppo senza alcun seguito legislativo.
Ora, con il prevedibile ampliamento della platea di coloro che acquisteranno la cittadinanza italiana iure soli, si impone una modifica in senso restrittivo delle norme vigenti per lo ius sanguinis, portando il diritto al riconoscimento della cittadinanza al massimo a due generazioni. Se ciò non fosse, l’effetto perverso sarebbe che i bis-nipoti, o più, dei nuovi cittadini iure soli, tornati nel loro Paese di provenienza, vi darebbero origine a cittadini che di italiano non avrebbero né discendenza (principio dello ius sanguinis) né cultura (principio dello ius soli).
In sostanza occorre definire cosa voglia dire essere cittadino italiano: condividere valori, lingua e cultura oppure sangue. O meglio, a quale di questi criteri dare preminenza. È vitale definire una priorità: mettere i due principi sullo stesso piano equivarrebbe a svilire la cittadinanza riducendola al mero possesso di un passaporto, e ad avere, col tempo, letteralmente centinaia di migliaia di italiani nel mondo che, anche con il voto, peseranno sulla vita pubblica senza nulla dare in cambio. Neanche le tasse. Cristina Ravaglia, Ambasciatore”.
Eppure mi sembra che le questioni sollevate dall’ex Direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri siano molto serie.
Innanzitutto perché – come scrive l’Ambasciatore – si rischia di “svilire la cittadinanza” (ulteriormente, a mio avviso) e, in secondo luogo, per quanto ci riguarda come emigrati italiani, per le implicazioni future sul voto all’estero aggiungendo ulteriori criticità a quelle già ben note che in molti, tra cui il sottoscritto, hanno spesso evidenziato e che sono prese a pretesto da quanti da sempre sono contrari al voto all’estero. Peraltro - ricordo sommessamente a quanti hanno scoperto solo ora lo “Ius soli” per strumentalizzarlo politicamente - la cittadinanza italiana attraverso lo “Ius soli” viene già accordata, giustamente, sia pure al compimento del 18° anno di età - in base alla legge n. 91 del 1992 – anche se limitatamente allo straniero nato nel nostro Paese e che vi abbia risieduto ininterrottamente.
Ergo, dovremmo quindi già ora preoccuparci delle conseguenze indicate nella lettera dell’Ambasciatore Ravaglia indipendentemente dall’evoluzione che avrà il disegno di legge in questione e porvi rimedio, quantomeno, nel senso da lei suggerito. Dopo di che, per le conseguenze che comporta il diritto alla cittadinanza italiana e di qualsiasi altro singolo Paese dell’UE – pensiamo, per esempio, alla libera circolazione – mi domando e domando: non sarebbe giunto il tempo di arrivare ad una unica norma sulla cittadinanza valida per ogni nazione dell’Unione Europea?