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ENZO BOVE (FCLIS): NO A UNA SOCIETÀ CHE DIVIDE

"Come recita il nostro statuto, siamo un movimento politico ma apartitico e antifascista. La nostra funzione è direttamente interconnessa con quanto accade in Svizzera e in Italia e non solo. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte all’ondata xenofoba che, a macchia d’olio, si sta allargando in tutto l’occidente". Si apre così editoriale a firma di Enzo Bove, co-presidente FCLIS, che apre l’ultimo notiziario della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera.


"In nome di un malinteso desiderio di sicurezza si chiudono le porte ai migranti innalzando muri e vietando alle navi l’attracco ai nostri porti, si chiude il Centro di accoglienza e richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto e si fa carta straccia dei permessi umanitari con il risultato di cancellare forme di integrazione già avviate e mandando centinaia di poveri cristi ad allargare la schiera del sommerso. Sono stati 2275 i migranti morti in mare solo nel 2018 e, come non bastasse, vengono emanate leggi sempre più restrittive in tema di accoglienza con il risultato di inasprire sempre più gli animi ottenendo il contrario di quanto immaginato. Non "più sicurezza" ma meno sicurezza.

In molti Paesi si è affermata una maggioranza di destra e xenofoba che, battendo sul tasto della paura, ha alimentato reazioni violente da parte di esagitati ai quali non sembra vero poter sparare, picchiare, incendiare i campi, lanciare uova contro chi ha il colore della pelle un po’ più scuro – e tutto questo senza dover rispondere per i propri atti e nell’indifferenza della cosiddetta «società civile» e delle istituzioni nostrane, sempre pronte a suonare la grancassa di fronte ai reati del diverso e passare sotto silenzio gli stessi reati se commessi dagli autoctoni.

Non vi è dubbio che un Paese non può essere lasciato solo a gestire il flusso dei migranti. Deve essere l’Europa tutta a farsi carico del problema che, detto obiettivamente, non ha le dimensioni di un esodo come si vorrebbe far credere. Non sarà facile cercare soluzioni appropriate tese a ripristinare le regole della solidarietà e della civile convivenza, specie se consideriamo che una parte politica ha costruito la propria fortuna soffiando sul fuoco della propaganda xenofoba.

Un tarlo che, seppur non ancora apertamente manifesto, comincia ad insinuarsi anche in alcuni di noi e qualche voce che plaude al giro di vite messo in atto dall’attuale governo contro i migranti, a prescindere dalla loro condizione, comincia a sentirsi anche fra noi.

Il cosiddetto sovranismo altro non è che una forma edulcorata del più bieco nazionalismo, anticamera del fascismo, utile per sviare l’attenzione da altre responsabilità molto più nostrane. Se da noi il lavoro scarseggia e i disoccupati aumentano, non è colpa dei migranti che ci tolgono il lavoro e che costano all’amministrazione fior di milioni. Al primo posto ci metterei una burocrazia lenta e farraginosa, poi la corruzione, l’evasione fiscale e il sistema tangentizio e, tolte alcune eccezioni, l’assenza di una classe imprenditoriale degna di questo nome.

Purtroppo, i nostri attuali governanti puntano sul fatto che, secondo i sondaggi, l’Europa che verrà dopo le elezioni del maggio prossimo, vedrà una forte avanzata dei sovranisti che rivolteranno le attuali maggioranze, il che forse potrà anche avvenire, ma se pensano in questo modo di ricevere maggiore solidarietà, non mi sembra che i presupposti lascino ben sperare. Salvini ha provato a stringere alleanza con i polacchi del PiS in vista delle elezioni Europee del maggio prossimo, ma di fatto è tornato indietro con le pive nel sacco e lo stesso Di Maio quando ha cercato di cavalcare il disagio francese solidarizzando con i «Gilets jaunes» contro Macron, gli è stato risposto di tenersi alla larga. È questo il limite dei sovranisti: ognuno a curare i propri interessi, anche a discapito di tutti gli altri. Esattamente il contrario di quanto i fautori dell’Europa Unita volevano realizzare.

Noi siamo del parere che nessun Paese è in grado di autogestirsi. La cultura, la ricerca, il lavoro così come i mercati, la finanza, i popoli stessi hanno bisogno di spazi aperti. Naturalmente bisogna fissare delle regole condivise che siano alla base della civile convivenza, per questo diciamo NO a tutti i muri, siano essi fisiologici, virtuali o, peggio ancora mentali, NO alla violenza come arma di pressione per imporre le proprie ragioni (e spesso i propri torti), NO a una società che divide".

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