LE COLONIE LIBERE ITALIANE IN SVIZZERA DOPO UN ANNO DI COVID
- Dettagli
Nel numero di aprile della sua newsletter, la Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera (Fclis) ha voluto dare voce ai presidenti e soci delle Colonie Libere Italiane per dar loro la possibilità di raccontare come hanno vissuto questo anno di grande emergenza sanitaria mondiale. “Quella normalità scontata” il titolo che Margherita Nuzzo, presidente della CLI di Dübendorf, ha dato alle sue riflessioni, che qui riportiamo.
“È passato un anno da quando in Svizzera è stato ufficialmente riconosciuto lo stato di pandemia a causa del coronavirus con la conseguente ordinanza di chiusura emessa dalla Confederazione. Si sentivano già le notizie riportate dalla televisione italiana dove la chiusura era in vigore da alcune settimane. Abbiamo visto in televisione portar via bare dai mezzi militari, tanti morti, in special modo anziani.
Ho avuto anche delle discussioni molto accese con alcuni soci e frequentatori della Colonia che dicevano che era tutto inventato. Ho fatto leggere loro dei messaggi di parenti che abitano nelle zone più colpite e che hanno perso il padre nel giro di pochi giorni, e la mamma ricoverata in ospedale…
Per la Colonia Libera di Dübendorf, ha significato, come per tante altre associazioni, interrompere dall’oggi al domani tutto ciò che era in programma di fare. Avevamo organizzato diverse attività: la cena sociale, un’esposizione fotografica con Claudio Colotti, della durata di una settimana, invitando per concludere l’evento, la giornalista Asmae Dachan che ci avrebbe parlato dei rifugiati della guerra in Siria. La tradizionale cena sociale annullata l’anno scorso, anche quest’anno non si è potuta fare.
Mantenere il contatto con i soci è stato difficile, nella prima ondata della pandemia ci siamo messi a disposizione in special modo degli anziani, dando loro i nostri recapiti telefonici per poterci contattare in caso di bisogno. È stato molto difficile mantenere i rapporti e quando li si incontrava si percepiva la sofferenza e la solitudine. A causa del coronavirus nel 2020 e all’inizio del 2021, son venuti a mancare 10 soci che non abbiamo neanche potuto accompagnare nel loro ultimo viaggio e dare loro l’ultimo saluto.
Nel periodo di chiusura totale, abbiamo avuto consistenti perdite finanziarie. Dal 1° marzo 2020 avevamo assunto una collaboratrice con tutti gli obblighi e contributi e anche se non ha potuto lavorare è stata retribuita regolarmente. Essendo una semplice associazione non abbiamo potuto richiedere nessun contributo stanziato dalla Confederazione.
Malgrado tutto, se facciamo un confronto con la nostra Italia, anche se noi non potevamo spostarci, la chiusura l’abbiamo vissuta molto meglio, se non altro non siamo stati obbligati a segregarci in casa. Quello che più è mancato sono stati gli abbracci e le visite dei figli e nipoti, che per prudenza vedevamo solo dal balcone. Ricordo che quando ho ricevuto un messaggio da un gruppo di bambini di scuola che cantavano una canzone dedicata ai nonni, ho pianto dalla commozione.
Dopo un paio di mesi abbiamo potuto riaprire, con molta prudenza e rispettando le norme igieniche e il distanziamento raccomandato. Si intuiva che nell’aria c’era paura e insicurezza, e molti degli habitué non erano presenti… Poi l’arrivo della seconda ondata del Covid, e la nuova chiusura obbligatoria. Il Natale, la Pasqua festeggiati quasi in solitudine.
Chi ha potuto si è incontrato all’aperto, a fare capannello nei parcheggi dei supermercati bevendo il caffè nei bicchieri di cartone o di plastica comprato nel chiosco lì vicino. Tutto, pur di scambiare due chiacchiere e stare un po’ in compagnia. Speriamo tutti nel vaccino, che arrivi presto a “salvarci” per poter riavere quella normalità che quando c’è non l’apprezzi come dovresti e la dai per scontata”.