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EXPO 2015 - ORGOGLIO ITALIA

“Anche in questo caso vale il principio: buona nuova nessuna nuova. A scanso di equivoci: solo le cattive notizie sono buone (servono) per notizia Ecco, pertanto, che per lunghi mesi l’Expo 2015 ha goduto di pessima stampa. Diversamente formulato: se n’è parlato e scritto molto, perché se ne poteva parlare e scrivere male. Pretesti per farlo ce n’erano: corruzione, cattiva gestione, ritardi nella realizzazione di strutture e infrastrutture. Tutto vero. Anche il pregiudizio che da queste constatazioni discendeva: come sempre inaffidabili questi italiani, che faceva il paio con l’altro di cui ingenuamente andiamo fieri: noi italiani diamo il meglio di noi stessi quando siamo sotto pressione in situazione d’emergenza. Come sarebbe se imparassimo a farlo anche in condizioni di normalità?”. A chiederselo è Giangi Cretti che apre il nuovo numero de “La Rivista” con un editoriale sull’Expo.


“Tant’è, ora l’Expo 2015 è stata inaugurata, e il risultato, perlomeno quello che è sotto gli occhi di tutti, è positivo.

C’è il conforto dei numeri :su cui non abbiamo il controllo, ma di cui prendiamo atto. Sono già 15 milioni i biglietti venduti. Il flusso quotidiano è rilevante, sostenuto, al meno fino al 10 giugno, dalle migliaia di ragazzi che ci vanno in visita scolastica. C’è la ricaduta in termini di indotto, sulla quale non ci si sbilancia e si ostenta prudenza (talvolta interessata). È indubbio che le centinaia di migliaia di visitatori, perché tanti sono in certi giorni, qualcosa consumano, e non solo dentro l’Expo, una parte di loro da qualche parte soggiorna. Un addetto ai lavori di un’importante catena di hotel ci ha detto: “la cattiva stampa e le preoccupazioni della vigilia hanno in parte rallentato le prenotazioni, maggio è andato così così. Ma ora, che l’Expo si è aperta e le cose funzionano, constatiamo che l’interesse e le prenotazioni sono in forte aumento”.

C’è la prospettiva degli incontri affari, quelli entrati nel gergo quotidiano come B2B. Interessano direttamente le aziende: 20’000 in sei mesi ne ha pronosticato il governo. A conti fatti, si vedrà. E poi, soggettivamente più importante, c’è la verifica empirica, modello San Tommaso: vedere per credere. L’abbiamo fatta.


Ci si arriva, all’Expo intendiamo, senza troppi trambusti, con i mezzi pubblici. Se si ha l’accortezza di premunirsi di biglietto (e di schivare la logica, secondo cui “ci vado presto, così quando aprono sono già lì”, perché è quella che condividono i più) la coda all’entrata, per quanto intralciata dai necessari controlli, è fisiologica. Le aree comuni, gabinetti compresi, sono pulite: civiltà dei visitatori coniugata con l’efficienza degli operatori ecologici.

I volontari, che indirizzano, spiegano, informano, accolgono, sono un esempio di educazione e cordialità. I prezzi, alla faccia degli sparaballe professionisti, sono urbani: una bottiglietta di acqua minerale 1,50 euro, un calice di Satèn Franciacorta 5, un piatto in uno dei gustosi stand di Eataly 9/10 euro, una bottiglia di vino, che non sia una ciofeca, la si può comprare e godere, spendendone 15.

Il percorso è lineare: i padiglioni si affacciano sul decumano (1,5 km) e sul cardo (350 metri) che lo incrocia all’altezza del Padiglione Italia. Impossibile perdersi. I padiglioni sono un belvedere: indiscutibile l’investimento di creatività. Poi possono piacere o meno: tanto ci sarà sempre, lo sapete, un pio o un teorete che avrà qualcosa da ridire (ridere?).

Comunque, ce n’è per tutti: arzigogolati (soprattutto i medio-orientali), armoniosi (estremorientali) ondivaghi (Cina e Zero), colorati (Ecuador), essenziali (caucasici), opulenti (Russia e Germania), sobri (Svizzera), sontuosi (Vino-Taste of Italy), futuristici (Italia sopra tutti). Insomma: a ciascuno i suoi. Visitarli, anche quelli che con la loro presenza si limitano ad un contributo alla conoscenza (o a attenuare la nostra ignoranza), è comunque stimolante.

Infine, ci sono i contenuti. Superata la fase in cui, a giusta ragione, si evidenziavano le inadempienze strutturali e le deprecabili malversazioni gestionali, è su questi che ora si concentra il fuoco (talvolta non solo metaforico) della contestazione. Un giovane ha provato a spiegarlo, consegnandoci argomenti, che, segno dei tempi, non sono andati oltre l’estensione di un tweet: “soldi regalati alla ‘ndrangheta, con il pretesto della fame nel mondo”. Insomma: miserie (soldi buttati), prendendo a pretesto nobiltà (la pretesa di nutrire il pianeta). Spunti per riflettere, non foss’altro partendo dalla legittima critica, l’Expo ne offre. Come evitare che si stemperino nel mare magno dello slogan seriale (o del tweet virale) è una sfida difficile, che chi-di-dovere (i cittadini) deve lanciare e chi-di-potere (i governi) dovrebbe raccogliere. Anche in questo caso: a ciascuno il suo. Ruolo, naturalmente”.

Giangi Cretti

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