www.mercurival.com

A+ A A-

ENOTURISMO IN ITALIA: FRA OPPORTUNITÀ E CRITICITÀ

“Di certo non è un caso. Se poco meno di tremila anni i greci la chiamavano Enotria (terra del vino) una ragione c’è. Logica, semplicemente: già parecchi secoli prima della nascita di Cristo, nella penisola italica erano sviluppate e, via via, perfezionate le tecniche di viticoltura, vinificazione conservazione del vino. Un tratto distintivo – che, volendo essere geograficamente circoscritti, si contendevano la Basilicata e la Calabria - testimoniato anche dai nomi di alcuni vitigni tipici di quelle zone: il Greco (in nomen omen) e l’Aglianico (una contrazione del termine Ellenico).


In realtà, una contesa di vuota rilevanza: all’epoca non esistevano i confini politici regionali che conosciamo oggi. Che ci racconta, però, che, per estensione, quell’appellativo è stato associato all’intera Penisola. La storia ci confermerà poi, che si è trattato di un’estensione sicuramente meritata: l’Italia tutta è indubbiamente la Terra del vino”. Copertina dedicata all’enoturismo quella del numero di marzo de “La Rivista” che, come sempre, si apre con l’editoriale del direttore Giangi Cretti.

“Nel corso dei secoli, gli Etruschi mantennero vive le tecniche di coltivazione e produzione del vino, in particolare nell’Italia centrale. Poco più tardi, i Romani, espandendo il loro dominio in Gallia e in Britannia, esportarono in quei luoghi sia le barbatelle che le relative pratiche di viticoltura. Che poi i francesi sapranno affinare, diventando, a giusta ragione, i nostri più fieri antagonisti.

D’altronde, anche per la gastronomia, i nostri cugini transalpini ci sono debitori. Non è balzano l’interrogativo: potrebbero vantare qualità e tradizione se Caterina de’ Medici, andata in sposa a Enrico d’Orléans, non soddisfatta della cucina della corte di Francia non avesse chiamato a Parigi cuochi dalla Toscana, creando i germoglio di quella che verrà universalmente celebrata come la grande cuisine?

Fu Caterina a dividere nella cucina i cibi salati da quelli dolci e a portare sulle tavole francesi la forchetta, perché i francesi mangiavano ancora con le mani. Fu sempre lei a diffondere l’uso delle mutande presso le dame della corte francese, in quanto, amando molto cavalcare, risultava essere un indumento essenziale.

Ma questa è un’altra storia. Ritorniamo al vino, che, comunque, si sente spesso orfano se non convola a gustose nozze con il cibo. Nei secoli bui del Medioevo la viticoltura si mantenne viva soprattutto grazie ai monaci all’interno dei monasteri, finalizzata principalmente alla produzione di vino da messa. I Benedettini, presenti in tutta Europa, erano famosi per il loro vino e per il consumo non proprio moderato che ne facevano. Quando Bernardo, ex monaco benedettino, fondò nel 1112 l’ordine dei Cistercensi, fu dato ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità, alimentato anche dalla forte competizione tra le abazie.

In tempi più recenti, prevalse l’attenzione alla quantità. Tuttavia in alcune zone, Toscana e Piemonte inizialmente (copiando con successo la tecnica dei francesi), prendevano corpo i primi tentativi di valorizzarne la qualità. Altrove, in modo particolare al Sud, ci si accomodò sulla produzione di vino ad alta gradazione alcolica: i cosiddetti vini da taglio, destinati ad irrobustire i grandi vini del Nord, francesi compresi.

A lungo, nel nostro Paese, si coltivò la convinzione di saper fare il vino meglio degli altri. Nessuno dubita che l’Italia sia un paese straordinariamente vocato alla viticoltura. Purtroppo, però, questa vocazione del territorio non è stata sempre sfruttata appieno. Il compianto Gigi Veronelli ricordava spesso le parole di quel viticoltore francese che negli anni ‘50 gli confidò: “Voi da uve d’oro fate vini d’argento, noi da uve d’argento facciamo vini d’oro”. Difficile, all’epoca, dargli torto.

Per troppo tempo è rimasta invalsa la convinzione che il “vino del contadino” rappresentasse il massimo della lussuria enologica, finendo per scambiare per buon vino prodotti instabili e spesso maleodoranti. Da alcuni anni, per fortuna, parecchio è cambiato. Archiviato con una svolta culturale e colturale lo scandalo del metanolo, il vino italiano, da Nord a Sud, dove c’è stato un fruttuoso recupero dei vitigni autoctoni, ha intenzionalmente virato lungo la rotta dell’eccellenza.

Merito di produttori ed enotecnici lungimiranti, con i quali è cresciuto un popolo, sempre più numeroso, consapevole e attento alla qualità, di appassionati del vino; quelli che, con vezzo, che si presume chic, ma che al sottoscritto suona molto scioc, in troppi chiamano wine lovers. È attorno a questi produttori, alle loro aziende, e a questo popolo che si è sviluppato il turismo del vino. Che non ha ancora scoperto tutto il suo enorme potenziale: complici anche miopie e complicazioni burocratiche.

Che però rappresenta un asse(t) insostituibile, pertanto irrinunciabile, attorno al quale edificare una nuova strategia di promozione del territorio. Alla scoperta di itinerari che esaltano il (buon) gusto: declinato da tutti e cinque i sensi”.

GIANGI CRETTI

The Best Bookmaker Betfair Review FBetting cvisit from here.

07836184
Oggi
Ieri
Questo mese
Scorso mese
Totale
2959
2655
63788
84436
7836184

Visitors Counter