CIAMPI A PARIGI NEL 1999/ IL RICORDO DI FARINA (PD) E LE PAROLE DEL PRESIDENTE: UN TESTAMENTO POLITICO E MORALE
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“La scomparsa del Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha suscitato una forte ondata di emozione in tutta Italia. Mi sono tornate alla mente le immagini e le parole di una sua visita a Parigi nel 1999”. Così Gianni Farina, deputato del Pd, che in quegli anni era vicesegretario per l’Europa al Cgie e, ricorda, in quella veste tenne il discorso di apertura e di benvenuto al presidente che incontrò i connazionali nella sede dell’Istituto Italiano di Cultura. “Ricordo l’abbraccio, intenso! Di quell’evento, ho conservato il suo saluto alla comunità italiana nella sede dell’Istituto di Cultura. È un testamento per tutti gli italiani all’estero”, conclude Farina.
Le parole del Presidente Ciampi.
“Ringrazio il dott. Farina per le bellissime cose che ha detto e che esprimono lo stato d'animo di voi tutti. Una responsabilità grossa sarà sulle spalle di coloro che voi eleggerete nel Parlamento italiano.
Mi auguro che da coloro che voi eleggerete venga sentito questo mandato, questa funzione speciale che viene a loro data. E quindi devono essere capaci di arricchire il Parlamento italiano. Devono essere capaci di mantenersi liberi da condizionamenti, pur nelle proprie idee politiche che certamente avranno, ma in grado di apportare al Parlamento italiano una ricchezza rappresentata dalla loro diversità.
Essi sono italiani. Ma italiani che portano nel Parlamento italiano l'esperienza, i problemi, la visione di persone che vivono fuori dai confini dell'Italia. È un compito non facile che implica soprattutto e in primo luogo, una grande dirittura morale.
È sempre fondamentale la dirittura morale ma lo sarà soprattutto per loro. Certo, nel Parlamento italiano non devono essere degli estranei, devono viverlo quel Parlamento, devono dare a quel Parlamento qualcosa in più che quel Parlamento non ha. E cioè l'esperienza di vivere l'Italia in altre realtà sociali, le realtà di tutto il mondo. La nuova realtà europea, e voi certo la sentite, ci sta cambiando. Sono da anni che uso chiamarmi cittadino europeo nato in terra d'Italia. Ormai si avverte questa vera cittadinanza europea, questo legame che ci unisce tutti quanti.
Sono poi contento che questo nostro incontro avvenga nella sede dell'Istituto di Cultura.
La cultura la facciamo tutti noi. Investe tutti: sia coloro che si occupano di scienze o di letteratura, sia coloro che vivono le loro professioni, sia coloro che operano nelle imprese industriali, commerciali, in qualunque campo o attività.
Ma la cultura è anche modo di essere, modo di vivere, condotta di vita che si ispira a valori, certamente alimentati da quelle che sono le punte della cultura, da coloro che rappresentano gli aspetti creativi nella poesia, nella speculazione filosofica, nell'arte in generale ma che è cultura in quanto si diffonde, è partecipata, è sentita da tutto un popolo.
La cultura si esprime soprattutto nel lavoro.
Il lavoro è cultura; specialmente al giorno d'oggi lavorare, stare nel mondo della produzione significa per tutti imprenditori e lavoratori, dipendenti o non dipendenti che siano, essere sempre coinvolti in un processo di continuo miglioramento delle loro capacità lavorative.
Cultura, lavoro, formazione. Qui mi rivolgo ai vostri figli. I loro genitori, i loro nonni hanno vissuto l'emigrazione nei momenti duri, quando l'emigrazione era costituita da coloro che dovevano lasciare la propria città, il proprio paese perché lì non trovavano possibilità di vita. Non era scelta, era costrizione. Sono venuti in paesi diversi quando ancora le mentalità erano diverse; hanno dovuto subire tutta la durezza dell'inserimento nella nuova realtà.
L'idea d'Europa è nata proprio dalla consapevolezza che bisognava superare quel modo di pensare, quel modo di essere. Io stesso ricordo di essere diventato europeista proprio perché non potesse più accadere quello che era accaduto nella prima metà del secolo. Fra pochi mesi saremo alla fine del secolo.
La festeggeremo ognuno nel modo che riterrà di festeggiarla. Non ho coraggio di dire il nuovo millennio, perché parlare in termini di millenni implica visioni strategiche che solamente uomini che hanno visioni possono e debbono esprimere. Mi limito a parlare del nuovo secolo. Allora il ventunesimo secolo, che sta per aprirsi, deve essere il secolo nel quale far maturare e far diventare produttivi e fecondi i semi che abbiamo cominciato a gettare.
È con questo spirito che vi rivolgo il mio saluto. Desidero formulare a tutti gli italiani - a quelli che vivono in terra d'Italia e agli italiani che vivono fuori dei confini fisici dell'Italia ma che fanno parte della realtà italiana - l'augurio di entrare nel nuovo secolo con questi sentimenti e anche con la volontà, la determinazione, la convinzione che la strada che abbiamo imboccato è quella giusta”.