La battaglia referendaria contro la riforma Renzi Boschi
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Com’e’ ormai noto il 4 Dicembre si voterà per il Referendum con il quale si sottoporrà alla sovranità popolare il giudizio sulla riforma costituzionale Renzi\ Boschi. Questo referendum si svolge in un contesto molto caldo, anche per la politica italiana, da un lato un governo sempre più supino allo strapotere della Merkel in campo comunitario, che vede l’ Italia anche nell’immediato post Brexit, non avere una propria identità nel contesto unionale, incapace di intraprendere un proprio spazio di manovra, anche rivendicativo, vedi ad es. La Francia ed il proprio atteggiamento sulla formazione del bilancio europeo e dei negoziati TTIP, o la Polonia, circa le politiche monetarie e l’immigrazione. Ma anche sul fronte interno, Renzi e i suoi iniziano a soffrire i vari mal di pancia della minoranza interna PD, le bordate dalla sinistra sempre più impietose, il radicamento negli enti locali dei pentastellati, non fanno dormire sogni tranquilli al principe abusivo Matteo Renzi. Tanto che proprio sul referendum costituzionale, lo stesso Renzi, creando un precedente unico nella storia repubblicana, ha, senza che nessuno lo abbia chiesto, legato il suo destino e quello della sua maggioranza all’esito del referendum, arrivando a dire che se lo avesse perso, si sarebbe no solo dimesso ma ritirato dalla politica, salvo poi quest’estate cambiare radicalmente idea e approccio, addirittura affibbiando con estrema codardia il merito della riforma e la sua paternità all’ex presidente Napolitano, prova del fatto che sente sul collo la sconfitta.
Proprio in questo scenario così delicato s’inserisce il ruolo del centro destra, che può e dev’essere determinante per la definitiva affermazione del NO, e della conseguente spallata definitiva al governo. E’ noto che è stato costituito un coordinamento nazionale per il No, la cui regia è dell’On Renato Brunetta, tra i più attivi in questa battaglia, che vede per ora un fiorire sporadico di iniziative, un pò di movimento sui social, ma di fatto non si è ancora riusciti a popolarizzare le ragioni del No, molto più difficili da declinare rispetto allo sloganismo del centro sinistra “basta un SI” PER CAMBIARE. In questo teatro, un ruolo fondamentale può giocarlo la destra, ed in particolare Azione Nazionale, Prima l’ Italia e tutte le sigle associative in giro per l Italia, che si sono ben distinte anche alle ultime amministrative, attraverso la nascita di comitati locali per il No, al fianco di quello nazionale già regolarmente costituito in Luglio, e articolare una serie di manifestazioni e di mobilitazioni che mettano al centro del dibattito LE RAGIONI DEL NO, quando tra meno di un mese esso entrerà nel vivo.
Per affrontare seriamente la riforma referendaria non si può non partire da alcune considerazioni giuridico costituzionali: Sia chiaro, noi non siamo tra coloro che ritengono che la Costituzione sia intangibile e immodificabile, quindi non vogliamo, nella declinazione della battaglia referendaria, passare per i “conservatori” dello status quo, sia perché per una serie di motivi che tra addetti ai lavori sarebbe pleonastico elencare , sia perché effettivamente nelle nostre corde e nella nostra tradizione politica vi è uno spirito riformista in tal senso. Si tratta quindi di andare a criticare, guardando bene i contesti, il contenuto della riforma , che , oggettivamente appare raffazzonata, e imperfetta, con molteplici criticità. Sembra intanto opportuno partire dal primo fallace approccio alla stessa, che costituisce un primo paradosso, ovvero che questa maggioranza ritiene che bisogna fare una riforma costituzionale per arrivare a perfezionare una legge elettorale, normalmente accade l’esatto contrario, si redige una riforma costituzionale e successivamente si scrive una legge elettorale.
Ed è proprio la legge elettorale, il cosidetto Italicum, che presenta dei vizi sia nell’aspetto redazionale che ermeneutico, oltre a costituire un grande rebus circa la scelta di un sistema, quella del doppio turno con premio alla coalizione (in principio), poi divenuto premio alla lista che prende il 40%,, che normalmente negli altri paesi democratici, e in parte anche in Italia, si utilizza per eleggere una persona, non una maggioranza.
Da ciò è chiaro che con questa legge, si introduce de facto l’elezione diretta del presidente del consiglio, blindandolo con un premio di maggioranza che permetterà, almeno in linea teorica a chi vince, di fare il bello e il cattivo tempo, infatti questa legge non è una legge proporzionale con premio di maggioranza ad avviso di chi scrive , come ad es. quella adottata in Grecia, dove la coalizione che vince prende 50 seggi in premio, in questo caso il numero dei seggi da attribuire è addirittura fissato con legge costituzionale (altro paradosso), ed è di 340, quindi si potrebbe tranquillamente incardinare tra i sistemi maggioritari, rischiando di far precipitare il paese , come ha fatto notare un grande accademico e politologo come Antonio Agosta dalla democrazia partecipativa alla democrazia totalitaria.
Analizzando invece la riforma del Senato, emergono altrettanti punti critici, di fatto il senato non è abolito, un po come la storia delle provincie, con la differenza che , esso continua ad esistere, quindi non vi è la trasformazione da bicameralismo perfetto a monocameralismo, e ancora, rispetto alla bozza originaria, il Senato, composto da soli 100 membri di cui 95 tra consiglieri regionali e Sindaci e 5 nominati dal Presidente della repubblica, non potrà più esprimersi sulla fiducia al governo, ma nelle varie evoluzioni della bozza di riforma ha conquistato una serie di competenze, che onestamente stentiamo a comprendere come potranno essere esplicate. Il tutto semplicemente per far finta di risparmiare e modificare un sistema , quello bicamerale, che, non per difendere lo status quo ante ma, ad onor del vero ha prodotto più leggi rispetto a quasi tutti i paesi con sistema monocamerale.
Adesso si introduce un bicameralismo “eccentrico”, che rappresenta l’unico modello al mondo , dove l’altra camera, è composta da consiglieri regionali e da Sindaci, che nel tempo libero e gratuitamente dovrebbe tenere il passo della Camera dei Deputati su un complessissimo numero di materie. Si sarebbe potuto seguire il consiglio di un grande costituzionalista come Leopoldo Elia, che sin dalla fine degli anni 70 ha predicato un bicameralismo procedurale, ovvero stabilire con norma costituzionale le differenti competenze tra le due camere e allo stesso tempo seguire la bozza Lorenzago che prevedeva la diminuzione dei parlamentari, si sarebbe ottenuto il medesimo risparmio se invece di tagliare i SENATORI, che non dimentichiamo vengono eletti dal popolo, si sarebbero dimezzati i parlamentari in modo da avere due camere con l’identico numero di unità, mantendendo inalterato il peso delle stesse. Del resto, se Renzi studiasse la storia parlamentare e costituzionale di questo paese, saprebbe, che nel 63, vi fu bisogno di una legge per aumentare i senatori da 240 a 315, perché era netta la difficoltà del Senato di seguire il passo della Camera. Queste sono alcune delle considerazioni, che possono essere utilizzate per smontare anche da un punto di vista giuridico costituzionale, una riforma che non ha ne capo ne coda, oltre ai punti che sono stati sintetizzati nel documento del comitato nazionale per il No alla riforma Renzi per la sovranità popolare.
In sostanza la riforma Costituzionale voluta da Renzi è farraginosa, imperfetta, non contribuisce ad ammodernare il paese, ne a risparmiare, tra le altre cose non si comprende come si risolveranno le questioni che sorgeranno tra Stato e Regione, e come questo Senato dovrebbe tenere ilm passo con la Camera. Circa le spese, un solo accenno, rispetto alle poltrone oggi presenti in Italia, solo volendo contare Deputati, Senatori, assessori regionali, consiglieri regionali, consiglieri e assessori comunali e sindaci, il risparmio sui costi elargiti ai politici sarebbe dell’1, 80 %. Altra considerazione, il governo stà agitando lo spauracchio del crollo della serenità in caso di vittoria del no, quest’argomento è il più risibile di tutti, anche se viene utilizzato molto per captare i voti degli italiani all’estero, in realtà se vince il NO, non cambierebbe nulla, sicuramente da un punto di vista economico e sociale, da un punto di vista politico, questo comitato si augura che , dopo la vittoria del NO, il governo tragga le legittime conclusioni e Renzi si renda contro che non esistono più le condizioni politiche per governare, del resto, questo parlamento è illegittimo, perché eletto da una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Suprema Corte, ed è tempo che si torni a dar voce agli elettori, che legittimamente, esercitando la sovranità popolare tornino a scegliersi i propri rappresentanti.
Marco Cerreto segretario nazionale del comitato” No per la Sovranità popolare”