4 DICEMBRE 2016: L'ITALIA AL BIVIO – DI GIANGI CRETTI
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“Votare sì o votare no? Questo è il dilemma: se sia lungimirante e responsabile approvare, o davvero miope e penalizzante dissentire. Nulla di drammaticamente amletico: solo il bisogno di interrogarsi e non prendere posizione (votare?) per partito preso. Solo i tifosi lo fanno – categoria umana per sua natura votata ad ignorare le ragioni della ragione – anche se talvolta volteggia fastidiosa l’impressione che lassù (dove si puote ciò che si vuole e non è il caso di più dimandar) qualcuno ci vorrebbe così: schierati, a prescindere. Senza chiederci, nel caso specifico, se davvero dalla parte del sì stiano gli illuminati e da quella del no gli oscurantisti”. È dedicato al referendum costituzionale del 4 dicembre l’editoriale con cui Giangi Cretti apre il numero di novembre de “La rivista”, mensile che dirige a Zurigo.
“Se i primi – e poco importa se fra costoro indispensabile sostegno agli ormai ex rottamatori ci siano i Verdini i Cicchito e gli Schifani - siano dinamici e pimpanti con lo sguardo dritto e aperto sul futuro, mentre i secondi – incestuoso miscuglio fra ex autorevoli rottamati ed inesperti azzeccagarbugli –siano polverosi, ingessati, delusi, frustrati e interessati conservatori. Mettiamoci nei panni del cittadino comune, quali siamo e vorremmo continuare ad essere.
Come ci sentiamo avvicinandoci ad una scadenza che, secondo gli uni dovrebbe cambiare verso all’Italia, proiettandola in un luminoso avvenire, secondo gli altri l’avvierebbe lungo un percorso di lesa democrazia? Né apocalittici, né integrati. A vario titolo confusi. A maggior ragione dubbiosi di fronte al fatto che autorevoli, e fino ad ieri stimati, costituzionalisti (fra i quali anche ex presidenti della Corte Costituzionale) l’un contro l’altro di dotti argomenti armati, giungano a conclusioni diametralmente opposte: senza dubbio si voti sì, con convinzione si voti no.
Non avendo il bagaglio né l’attrezzatura adeguata per cogliere il vero senso del dettato di quella che per gli uni – con dovuta concessione all’enfasi preelettorale – è la madre e per gli altri la morte di tutte le riforme, cerchiamo di orientarci nell’intricato incrociarsi di dichiarazioni quotidiane che, veicolate dai media, più o meno sociali, hanno ormai assunto la ritualità ossessiva di un mantra.
I fautori dell’uno o dell’altro fronte, molto probabilmente costretti dai tempi fulminanti della comunicazione, semplificano sciorinando a turno slogan che a loro volta smentiscono altri slogan.
Al cittadino votante viene detto: con il sì si riducono i costi della politica. È vero? Forse no. Se si volessero davvero ridurre i costi della politica perché non dimezzare il numero dei parlamentari in entrambe le Camere: la matematica, anche in questo caso, non è fallace, quasi 500 in meno, a fronte dei poco più di 300 che ne eliminerebbe la riforma.
Con la Riforma si cancella il bicameralismo paritario. È vero? Sì, ma a qual pro mantenere un Senato composto da persone elette per fare altro (consiglieri regionali o sindaci) e non invece cancellarlo del tutto? Oppure: anche se vi sono delle esperienze virtuose di bicameralismo paritario (la Svizzera ne è un fulgido esempio) non si potrebbe risolvere ridefinendo le competenze delle due Camere e comunque lasciando un Senato elettivo,consentendo ai cittadini il diritto di eleggere scegliendo i propri rappresentanti?
Con la Riforma si dimezzano i tempi dell’approvazione delle leggi. È vero? Forse sì, ma ridefinite le funzioni delle due Camere non si potrebbero anche fissare tempi necessari all’approvazione di una legge, per altro espressione del diritto talmente numerosa da non essere o non poter essere sempre puntualmente applicata?
Non è vero che con la riforma e la parallela applicazione della nuova legge elettorale (l’Italicum) si apra una deriva verso uno stato autoritario. È così? Forse, ma se negli ultimi tempi c’è stato un ripensamento, non necessariamente finalizzato a scopi elettorali, anche da parte del capo del governo che, dopo aver detto a chiare lettere che l’Italicum non sarebbe mai stato cambiato, ora si dichiara disponibile a valutare, dopo il voto del 4 dicembre, possibili modifiche, qualche rischio in quella direzione potrebbe esserci.
Sin qui la quotidianità dell’informazione concessa all’opinione pubblica. A questo si aggiunge, ultimamente evocato soprattutto dai contrari al referendum, il fatto che votando no si manderebbe a casa l’attuale governo.
Il che presuppone di converso che votare sì lo manterrebbe in carica. Se questa, a prescindere dall’esito, si rivelasse la ragione determinante nella scelta del voto sul refe- rendum, avremmo la conferma che l’Italia è finita nelle mani dei tifosi. Uno scenario inquietante, alla cui definizione, in quanto cittadini rifiutiamo di concorrere. Per questa ragione, e per pochi giorni ancora, continueremo ad interrogarci, convinti che alla fine noi sapremo se votare sì o votare no”.