CHIUSURA VALICHI/ SCHIAVONE (CGIE): LA PAURA PORTA A CHIUDERSI IN SE STESSI
- Dettagli
“La prevenzione è migliore della cura. Questa è la massima che qualsiasi medico ricorda ai pazienti e che aiuta anche a contenere i costi sanitari e la spesa pubblica. Questo principio applicato anche se a titolo sperimentale tra le aree di confine comasche e ticinesi e che ha portato alla chiusura dei tre valichi secondari di frontiera nella zona di confine della regione Insubrica, sembra essere eccessivo e fuorviante”. Così Michele Schiavone, segretario generale del Cgie sulla decisione presa dalle autorità svizzere che ha portato il Governo italiano a convocare l’ambasciatore elvetico.
“Per nessuna zona di frontiera della piccola Svizzera – continua schiavone - il Consiglio Federale finora ha osato intervenire rispettando formalmente gli accordi bilaterali con l’Unione europea. I lavoratori frontalieri impegnati professionalmente oltre confine e le comunità di confine fruitrici di servizi tendono a confondersi ed integrarsi dentro aree urbane più ampie senza rinunciare ad agevolazioni che migliorano il loro standard di vita. Questa libertà presente anche a Ginevra, a Basilea, a Sciaffusa e a Kreuzlingen, - sottolinea Schiavone – lì non è mai stata messa in discussione e a nessuno è venuto in mente di prendere delle decisioni drastiche come quelle assunte dalla polizia ticinese. Eppure anche in quelle aree di frontiera il fenomeno della mobilità delle merci e delle persone viene praticata incondizionatamente”.
“La decisione del Consiglio Federale – secondo Schiavone - perciò riduce in concreto uno dei quattro principi su cui è costituita l’Unione europea e la dice lunga sulle motivazioni diffuse dai proponenti la chiusura dei tre valichi. La Svizzera non ha ancora sospeso il trattato di Schengen, che regola la libera circolazione dei cittadini residenti dentro i confini dell’Ue”.
“Alimentare paure e insicurezza tra la gente sembra essere un viatico per acquisire consenso elettorale in un periodo in cui alcuni governi ritornano ad erigere muri e a rinchiudersi a protezione di interessi particolari”, riflette il segretario generale. “L’inasprimento delle regole di controllo delle persone nelle aree di confine, in teoria potrebbe essere una risposta concreta per prevenire la micro criminalità, ma viste da lontano queste decisioni hanno l’aria di un accanimento da parte delle autorità ticinesi, che tendono a distinguersi dagli altri cantoni svizzeri”.
“Il Ticino e la Lombardia hanno comuni interessi, cultura, infrastrutture e affinità che – conclude - rendono anacronistica questa decisione, tant’è che la notizia ha preso di sorpresa la popolazione locale, costretta a spostarsi da una parte all’altra del confine e che durante la fase sperimentale dovrà subire disagi e costi che renderanno la loro vita più complicata”.